Dentro lo spillo (by Balba)



Due minuti, tre al massimo. Sollevo il cappuccio della tuta blu e nascondo i capelli. Lo spillo è imminente. Giulia ci dispone sotto la tribuna. Anna sale sul monopattino. Federica osserva pensierosa la corda da saltare. Lo sguardo nervoso di Roma è perduto nel centro della piazza. Il volto di Mauro è scolpito da rughe di stanchezza e tensione. Graziano e Germa preparano la casetta. Piero sistema il trucco. Marina dove sarà? In tribuna?
Mi concentro sul mio mattoncino lego di colore bianco poi guardo Magna; non diciamo nulla, sappiamo quel che ci sarà da fare e sappiamo anche che l’altro lo farà bene. Ricordo a Tizio, fila rossa davanti a me, che urlerò come un dannato tutto ciò che dovrà fare. Penso a uno spillo di tanti anni fa, rinchiuso in un pezzo di un puzzle, ad un altro ancora dentro ad un quadro, ad uno dove ero una cimice. Poi ricordo gli spilli a cui ero affezionato quando ero bambino, Nerone che incendia un prato, i birilli giganti, il sottomarino giallo. Nel sistemare il mattoncino, giallo pure questo, Ema mi colpisce e interrompe il flusso dei ricordi. Sollevo il lego sulle spalle, gli Angeli hanno terminato. Il carro è pronto, viene sgomberata la linea d’entrata. Cerco Wichele per uno sguardo incoraggiante ma non lo vedo. I ragazzi vestiti con i costumi degli omini lego scherzano, la loro parte è semplice. L’orologio della torre del campanile è immobile in attesa del nostro spillo. Un palloncino con gatto Silvestro sorvola i tetti delle case, chi l’avrà lasciato andare? L’immagine del palloncino perduto nel cielo mi ricorda quando da bambino soffrivo in tribuna per i carri della gneint s'incaglia. La voce di Sergio mi riporta al presente. Vorrei ripassare ancora una volta la parte ma non c’è più tempo, i bambini sono già in piazza. Vicino al bar passa Cosic con la radiolina. Saluto Daniela che ci fotografa. La palla grigia rotola sul selciato e la casa attraversa il confine tra sole ed ombra. Da questo momento, saremo isolati, chiusi in scatole di cartone. Sollevo il mio pezzo sopra la testa, attendo l’urto del mattoncino di Ema che da dietro si allinea e faccio la stessa cosa con Tizio che sta davanti. Con la mano destra cerco il mattoncino di Magna per accostarlo di lato. Se tutti gli altri hanno fatto le stesse operazioni, la formazione è compatta e pronta ad entrare. Sono strani i pensieri che ti attraversano la mente in questi istanti. Fai fatica a comprendere la motivazione che spinge ragazzi e adulti a mettersi in gioco in questo modo ma ti rendi conto che in questo momento non vorresti essere da nessun altra parte se non qui. È un gioco ma è anche un’occasione per vivere qualcosa di creativo con amici o conoscenti: è un’occasione di condividere un progetto comune. La voce registrata del bambino interrompe queste riflessioni e mi ricorda che tra pochi secondi si entra in piazza. Cosa dobbiamo fare? Marcia, fiore, casa, sole, aereo poi in fila. Mentre ci penso un urlo stridulo fa vibrare il timpano del mio orecchio sinistro disintegrato dall’otite: “andiamo!. Cazzo, la musica è cominciata e non me ne sono accorto! La mia visuale è limitata ai pietrini della piazza, quante polemiche a suo tempo. Ma non è il momento di pensarci, mi concentro sui piedi di Tizio. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, va bene. Il ritmo è giusto. Mi chiedo come capiremo di essere a fianco del carro; mentre lo penso mi blocco perché la fila davanti si è fermata. Nelle prove pareva che il tempo scorresse più lentamente, ma qui nemmeno si riesce a pensare. Ora è il momento di oscillare. Su e giù, su e giù, su e giù. Porca puttana il mattoncino scivola leggermente di lato, il baricentro non è più sulla testa, devo alzare una spalla per sostenerlo. Impreco deciso, tanto nessuno mi può sentire. Un pezzo di cartone si stacca dall’impugnatura della mano destra. Per qualche minuto reggerà, poi non avrà più importanza. Che succede? Tizio non è più davanti a me. Il fiore? Comporre il fiore è semplice, devo affiancare Tizio, girare attorno al suo mattoncino e sistemarmi vicino a Bronx lasciando libero un varco per il passaggio di Otto. Fatto, chissà se il pubblico applaude. No, che strano, se non applaudono adesso allora quando? C’è un attimo per riprendere fiato e pensare alla forma successiva, la casa. Mi concentro sull’audio, la parola serpente è il segnale per il cambio di figura. Ecco, ci siamo! Mi sfilo il mattoncino dalla testa e lo metto verticale sull’asfalto. “No! Elena! Siamo sfasati! Sposta il tuo mattoncino verso il carro, ecco, così va bene. Magna, mettiti nel mezzo, Beppe vai con il tetto, Tizio, ci siamo, manchi solo tu!” La casa è fatta però non c’è molto tempo per smontarla. Anticipiamo il comando, via il tetto, mattoncino di nuovo sulla testa. Per fare la prossima figura, un sole, devo spostarmi sull’altro lato. C’è molta confusione, ci si urta tra i vari pezzi. Vedo l’entrata degli uomini lego, vorrei fermarmi a guardarli ma non posso. I raggi gialli sono gia a posto, devo infilarmi tra due di loro, non sono certo che sia la posizione giusta. Sollevo un attimo il pezzo per controllare. Perfetto. Chissà se dalla tribuna si capisce che è un sole. Penso all’ultima forma da costruire. Perdo l’orientamento. Io sono l’ala di un aereo. Ma quale delle due? Verso la tribuna o verso la chiesa? Perché mi vengono adesso i dubbi? Seguirò l’istinto, di solito funziona. Ecco, la voce del bambino chiama l’aereo. Millo è il fulcro di tutto. Si forma la carlinga con tre pezzi gialli. Io sono dal lato tribuna e trovo facile incastrare la mia ala. “Elena dove sei? La coda, devi incastrarla non tenerla accostata!”. Giulia ci guida nella rotazione sotto la tribuna, cominciamo a correre. “Stop! In fila! Scuotere i mattoncini! Fare segno di no!” È quasi fatta, cartoni sulle spalle e sguardo al carro. “Attenti!”, grida una voce. Ci giriamo verso la tribuna. “Omini fianco dest!”. La giuria ha le finestre chiuse. Chi saranno i giurati? Dietro al vetro non si riconoscono i volti. “Mattoncini fianco sinist!”. Mentre mi volto vedo Cliff seduto in tribuna e Sara in ultima fila, chissà se scriverà un pezzo per BorgoRotondo. Mi avvicino al trattore; ci giro attorno. Sollevo il mattoncino e lo isso sulla catapulta. “Lelli puoi andare! Tira la leva!”. Gli altri mattoncini sfilano. Mi nascondo dietro al carro, aspetto la fine, cosi anche gli altri. Il compito dei mattoncini termina qui. Vorrei sporgermi per guardare, ma non oso farlo. La musica cambia, parte un timido applauso. Il carro si muove, rimaniamo accostati di fianco. Il cannone spara. Non doveva sparare prima? Pinocchio si è girato? Il carro è quasi fuori dalla piazza. Ci raduniamo di fianco alla tribuna. Sorrisi. Incredulità. Gioia. Tutto è andato liscio. Raramente era successo. Guardo il carro aperto. Mi piace. Mi piace il soggetto, mi piace lo spillo, mi piace quello che vuole dire. Ma più di ogni altra cosa mi piace esserci, fare parte di un’idea e raccontare una storia.